"Comunicazione e unità - le persone"
Relazione e condizionamenti

Giornalista-professionista. Vicecaporedattore del TG4 (Mediaset).
E’ profondamente radicata in me la convinzione che il mondo tende all’unità. Il mondo unito, ci aveva detto il Papa, è una di quelle idee che fanno la storia. L’anno scorso questa convinzione in me è entrata in crisi con lo scoppio della guerra in Serbia. Ho cercato in qualche modo di reagire. Nella nostra emittente in quei giorni abbiamo innanzi tutto raccontato quello che si faceva per i profughi kosovari, sottolineando le storie e a volte l’eroismo dei volontari.
Poi sono andato a cercare il "nemico", il popolo serbo che viveva nella mia regione, nell’alta Italia. Al di là delle ragioni delle parti in conflitto, sentivo che era giusto far vedere ai telespettatori come si vive una guerra sapendo che sotto le bombe ci sono i familiari e gli amici. Così mi è venuta un’idea che abbiamo subito realizzato. Il mio tg ogni sera ha mandato in onda con la traduzione italiana i servizi sulla guerra realizzati dal tg serbo. Un’iniziativa che è stata subito ripresa dalla principale agenzia di stampa nazionale italiana, l’Ansa. La ragazza interprete aveva la sua famiglia a Nis, per cui ogni sera tutta la redazione viveva con lei l’angoscia di sapere dove erano cadute le bombe.
Ad aprile, durante il conflitto, mi trovavo in questa sala per un altro
congresso, dove ho sentito la storia degli inizi del movimento durante
l’ultima guerra e di come, in ogni situazione, anche se la guerra ci
angoscia, dobbiamo concentrarci sull’amore che porta all’unità.
Ci voglio credere, mi sono detto. All’improvviso una telefonata da
Milano mi fa partire immediatamente con un aereo privato per un
reportage in Albania e Macedonia. Così nel giro di poche ore mi sono
trovato da Castelgandolfo ai campi profughi di Tirana e al confine di
Blace, tra Macedonia e Kosovo.
Mi sono sentito catapultato tra quelle tende polverose pronto a
scorgere con la telecamera la paura, il dolore, la sconfitta dei
profughi, prime vittime del conflitto. Ma appena ho messo piede nel
primo campo ho avuto quasi uno shock: ho visto soprattutto persone che
si volevano bene. Bambini che giocano, sorrisi accoglienti di chi ti
invita nella propria tenda, la dignità e la bellezza del popolo
kosovaro. Ho sentito una profonda serenità, che mi ha commosso. Dietro
la telecamera mi sono detto: pensavo di trovare l’inferno e ho trovato
un pezzo di umanità che, pur soffrendo, sa ancora amare.