Sbarchi, clandestini, affondamenti e carrette del mare. E poi scafisti, traffico di esseri umani e morti, migliaia di morti in fondo al mare. E ancora emergenza, insicurezza, paura. Eppure non è solo questo l’immigrazione in Italia. C’è un’altra faccia delle migrazioni che poco conosciamo perché non ne parla quasi nessuno. Di certo non gli “influencer” o i “main stream”, ovvero gli opinion leader e i media nazionali, tv e giornali, di grande pubblico. Perché non fa notizia, non c’è clamore, e forse non fa comodo ad una certa politica.
Eppure quella regolare rappresenta la maggior fetta dell’immigrazione nel nostro Paese. E una fetta importante, perché offre un contributo non trascurabile al prodotto interno lordo nazionale. In altre parole, gli immigrati regolari contribuiscono ad accrescere la ricchezza del nostro Paese in misura significativa. Secondo IDOS si tratta di circa 5 milioni e mezzo di cittadini stranieri residenti in Italia per lo più o soggiornanti.
Esistono e sono accessibili siti come Openpolis che permettono ai cittadini di controllare direttamente i conti del proprio comune così come di chiedere dell’attività degli amministratori e dei parlamentari. Uno strumento per la partecipazione.
Siamo nel tempo della post-verità investiti da un flusso continuo di affermazioni la cui fondatezza non è sempre garantita. Nel dibattito pubblico opinioni contrastanti, senza un riferimento oggettivo, creano un indubbio disorientamento e lasciano campo aperto a partigianerie che raramente vengono smentite oltre a incattivire il clima sociale.
Segnaliamo un interessante articolo pubblicato su La Stampa due giorni fa a firma di Anna Masera. Una riflessione sulla responsabilità dei giornalisti in tempi di "fake news" e di "hate-speach", ovvero di notizie false e discorsi d'odio in Rete.
Del tutto condivisibili ci sembrano le prescrizioni del citato "Manifesto della comunicazione non ostile", una sorta di decalogo rivolto ai comunicatori, giornalisti in primis, ai politici, i docenti, gli influencer e a tutti i navigatori del web che interagiscono fra loro ed esprimono pensieri, opinioni e valutazioni in Rete, nei forum, nelle community e sulle piattaforme dei social network. Uno strumento che ci pare non solo prezioso ma da diffondere.
A quasi due anni da uno dei naufragi più contestati dei migranti provenienti dalla Libia, viene smontata la tesi accusatoria della morte di 9 nigeriani e ghaniani cristiani ad opera di compagni di viaggio musulmani.
Con Giulio Albanese eravamo stati i soli in Italia a non credere alla bufala dell’aprile 2015 (https://www.cittanuova.it/le-domande-scomode-sui-cristiani-gettati-in-mare/ ), quando i giornali ripresero con grande spazio una notizia proveniente dal Canale di Sicilia: nove migranti sarebbero stati gettati a mare dal gommone sul quale erano imbarcati perché cristiani, perché si erano rifiutati di pregare Allah durante la traversata del Mediterraneo verso le coste siciliane. Il Pm Maurizio Scalia aveva chiesto l’ergastolo per quegli ivoriani, senegalesi e maliani che, nel corso di un alterco durante la navigazione, se l’erano presa con i nove nigeriani e ghanesi di religione cristiana. C’erano dei testimoni, ma di parte, che avevano raccontato tutto alla Squadra mobile di Palermo, dove erano stati sbarcati dalla nave Ellensborg che li aveva raccolti.
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