Nell’ambito della Conferenza Internazionale “Alleviating Poverty",lo scorso 24 settembre presso l’Università di Santo Thomas, nelle Filippine, Luigino Bruni ha definito Edc "un segno di speranza nell’era della globalizzazione".
di Teresa Ganzon
Il pubblico era composto da oltre 200 persone fra laureati, professori, rappresentanti di organizzazioni non governative, politici. Luigino Bruni ha esordito con quattro premesse:
1. A causa della globalizzazione la povertà non è più una questione “nazionale” ma riguarda tutto il mondo.
2. Un tema importante nel dibattito sulla povertà è quello dell’educazione al lavoro, e a tutti i lavori, non solo quelli intellettuali: anche il lavoro manuale ha la sua dignità e uno dei messaggi che il Cristianesimo può dare è che il lavoro è parte importante per la costruzione della persona.
3. La situazione attuale richiede una ridefinizione delle relazioni fra stato, governo, economia e società civile perchè non è più sostenibile lasciare il compito esclusivo della redistribuzione della ricchezza allo Stato. C’è oggi bisogno di imprenditori civili che si occupino direttamente di problematiche sociali non limitandosi a contribuire attraverso le tasse che corrispondono.
4. La quarta premessa è che la crisi finanziaria in atto ha dimostrato che qualcosa del sistema non ha funzionato: un qualcosa che, se non corretto, porterà la società ad un secondo, fatale “infarto”. E’ necessario un cambiamento degli stili di vita se si vuole evitare il ripetersi della crisi.
Bruni ha descritto la globalizzazione con le nuove opportunità che offre, ed i possibili rischi: “trasformare il mondo in un posto dove l’unica forma di relazione umana è una transazione economica , dove ogni cosa diventa merce.” Sono due le possibili direzioni verso le quali l’economia di mercato può muoversi: “La prima: costruire un villaggio globale dove come in ogni villaggio sono vari i principi in gioco. Ci sono gli scambi economici naturalmente, ma esistono anche la ridistribuzione della ricchezza ed il dono. La seconda: trasformare il mondo in un supermercato globale dove tutto diventa merce e non esiste più spazio per relazioni genuine e autentiche.
In questo contesto, la sfida più grande dell’Edc, sia da un punto di vista teorico che pratico sta “ nel dimostrare che qui ed ora, anche nelle Filippine, è possible costruire una comunità aziendale orientata a costruire relazioni autentiche dove la reciprocità ha il diritto di esistere, anche nell’ambito economico”. Per questo, “l’Economia di Comunione è un segno di speranza concreta in questo momento della crisi che, come ogni crisi può essere anche un momento di opportunità.”
Quindi Luigino Bruni ha descritto l’Economia di Comunione ed i tre pilastri del progetto: l’azienda, la cultura e la povertà .
Descrivendo l’impresa e l’imprenditore, ha distinto due diversi tipi di imprenditori: il primo è lo speculatore il cui principale obiettivo è condurre l’impresa alla massimizzazione del profitto, e per il quale l’oggetto del business è secondario. Per l’imprenditore “vero” invece, l’attività dell’impresa non è affatto secondaria : ha un valore intrinseco e, aldilà del raggiungimento del profitto, richiama la sua passione e intelligenza. Creatività e innovazione sono il frutto dell’“intelligenza”, degli “occhi nuovi” che caratterizzano l’ imprenditore vero.
A proposito della natura del profitto, la dottrina sociale della Chiesa insegna che occorre fare attenzione a al modo in cui la ricchezza viene ri-distribuita. Nell’opinione di Bruni c’è qualcosa che non funziona nella pratica della nostra società capitalistica di dare la maggior parte del valore aggiunto agli azionisti e non ai lavoratori dell’impresa. La consuetudine di pagare i managers migliaia di volte di più di quanto i lavoratori portano a casa è qualcosa che stride con un approccio cristiano all’economia.
E’ evidente invece che nell’Economia di comunione i profitti dell’azienda non vanno esclusivamente agli azionisti. Per l’operare in una economia di mercato anche l’azienda Edc deve essere efficiente e creare valore aggiunto all’impresa, ma non a scapito delle persone, i lavoratori, perché essi contribuiscono al profitto stesso con il loro lavoro. E’ la differente redistribuzione dei profitti a fare la differenza rispetto all’approccio tipicamente capitalistico.
A proposito della povertà, Bruni ha precisato che essa è sempre il risultato di rapporti sbagliati. Non è uno status individuale, come le caratteristiche fisiche con le quali ciascuno di noi nasce, è una questione sociale. Per questo, per trovare una soluzione alla povertà occorre indirizzarsi non soltanto agli individui, ma anche alle relazioni all’interno della comunità. Ed ancora: “la povertà non è solo questione di soldi ma è anche una questione di deprivazione di “capabilities”, opportunità, libertà, diritti. Per questo se si vuole lottare contro la povertà occorre investire in educazione, opportunità, politica e diritti.”
Se la povertà è fondamentalmente esclusione da opportunità, politica, educazione, dal lavoro, combattere la “povertà negativa” (che è quella subita e derivante dalle relazioni sbagliate, a differenza della “povertà scelta” predicata nel Vangelo) significa portare i poveri devono essere all’interno della produzione, delle aziende senza limitarsi a fornire un aiuto di tipo assistenziale. “E’ questo il messaggio veramente importante della civiltà… senza il lavoro non c’è modo di liberarsi dalla trappola della povertà..”
“Se qualcuno mi chiedesse: cosa ritieni si possa fare per combattere la povertà nei paesi caratterizzati da problemi sociali, la mia risposta verterebbe su tre punti: formazione, formazione, formazione. Senza formazione non c’è futuro, specie per I giovani. Formazione di alta qualità. Scuola primaria, secondaria università e così via. Ma non soltanto formazione intellettuale, anche educazione al “fare”.
Nelle conclusioni Luigino Bruni ha lanciato una sfida al pubblico, che per la maggior parte era rappresentato dalla comunità accademica: insegnare economia e responsabilità sociale in una maniera differente, più focalizzata sulla comprensione di una “via comunitaria” piuttosto che attraverso un approccio filosofico.
Rivolgendosi infine a tutti I filippini presenti ha concluso: “Spero che la vostra società ed economia filippina, così creativa possa trovare la propria strada verso una economia di mercato che salvi le proprie radici cristiane e comunitarie, così evidenti e forti nella vostra società e possa così crescere e innovarsi nell’attuale economia e società globalizzata. In questa sfida, grande ed appassionante , forse la piccola esperienza dell’Economia di Comunione può fornire un esempio.”