“I mass media svolgono un ruolo fondamentale nella percezione che la società – in particolare le nuove generazioni – ha della presenza di immigrati e rifugiati in Italia. Un approccio corretto e critico alla lettura delle notizie sulla presenza degli stranieri nel nostro Paese è oggi quanto mai indispensabile per riuscire a creare nei giovani una cultura dell’accoglienza e della solidarietà”
È per queste ragioni che la Fondazione Centro Astalli per i rifugiati, promossa dall’Ordine dei Gesuiti a Roma, si impegna nella formazione dei giovani fruitori dei media, dalla tv, a internet, ai giornali, con l’obiettivo di “educare al pensiero critico” per promuovere “una cittadinanza consapevole” e stimolare “a ripensare la società e i rapporti umani”. Un lavoro che il Centro porta avanti attraverso corsi e iniziative pensati in particolare per le scuole, che invitano gli studenti ad entrare nelle logiche e nelle metodologie della comunicazione.
Quando si parla di migrazioni si tende a pensare per lo più a quelle provenienti dal nord Africa e dirette verso l’Europa, o ai flussi che partono dal Medio Oriente e dai Balcani verso i paesi dell’Occidente ricco. Gente che fugge da guerre, povertà o dai mutamenti indotti dai cambiamenti climatici, costretta a lasciare la propria casa e il proprio paese.
In realtà il globo è attraversato a tutte le latitudini da fenomeni migratori fra loro anche molto diversi per il contesto in cui si svolgono, per le dimensioni dei flussi e per le ragioni che li muovono.
In Colombia, ad esempio, oltre sei milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni a causa del conflitto fra esercito, narcos e gruppi armati paramilitari che per più di 50 anni ha piagato il paese. Un conflitto da poco risolto con un accordo storico fra il governo del Presidente Juan Manuel Santos e le FARC, il gruppo guerrigliero marxista, i cui benefici tuttavia stentano a vedersi. Il perdurare dello stato di guerra e di una condizione di grave insicurezza per le popolazioni civili ha causato una massiccia migrazione tutta interna ai confini del Paese, che in alcuni casi si è diretta verso gli Stati Uniti. Una fuga non meno drammatica di quelle che vediamo raccontate sugli schermi delle nostre tv o sui giornali: sono uomini e donne chiamati “desplazados” che subiscono soprusi e violenze di ogni genere, in un paese dove non c’è certezza del rispetto dei diritti umani e dove resta alto il livello di violenza.
Proporre un metodo originale per la narrazione delle migrazioni sui media, che offra un racconto veritiero, multi-sfaccettato e costruttivo del fenomeno delle migrazioni forzate. È l’obiettivo del ciclo di incontri che NetOne promuove a livello internazionale sul tema “Giornalisti e migrazioni”, realizzati di volta in volta in città simbolo, come Atene, Budapest e Pozzallo, alle frontiere più calde o lungo i confini dove l’incontro fra popoli in viaggio e residenti si fa accoglienza ma spesso anche scontro e rifiuto dell’altro.
Un progetto che nasce a seguito dell’intensificarsi, negli ultimi anni, dell’ondata migratoria verso l’Europa da parte dei Paesi del Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente, e dall’osservazione di come il racconto mediatico delle migrazioni fosse non di rado viziato da stereotipi e pregiudizi, da una lettura ideologica del fenomeno, spesso staccata dal contesto reale. Una narrazione che influenzava la rappresentazione delle migrazioni e degli stessi migranti presso l’opinione pubblica, alimentando sentimenti di paura e di rifiuto.
“Gli immigrati regolari contribuiscono a creare l’11% del Prodotto Interno Lordo, incidendo per il 10% sul totale dei lavoratori dipendenti. Ma di loro non si parla mai. Eppure, senza il loro contributo, lo Stato perderebbe ogni anno 11 miliardi di contributi fiscali e previdenziali. La gran parte degli stranieri in Italia vive quindi una vita normale, spesso segnata da un lavoro duro, al solo scopo di garantirsi la sopravvivenza e mandare qualche aiuto alla famiglia, nel Paese d’origine”. Muove da qui il programma di Rai 3 “Radici. L’altra faccia delle migrazioni” che ha scelto di indagare dal di dentro il mondo dell’immigrazione regolare in Italia, per dar voce agli stessi protagonisti e offrire una lettura completa e reale del fenomeno delle migrazioni forzate. Perché solo una rappresentazione lontana da stereotipi e pregiudizi, e priva di qualunque approccio ideologico, favorisce una comprensione efficace del fenomeno e costituisce la premessa del dialogo e dell’incontro fecondo fra chi arriva e chi accoglie. Le puntate della quinta stagione sono in preparazione: le prime sei saranno in onda a partire dal 2 giugno, il venerdì in seconda serata, e altre sei le vedremo in ottobre, la domenica alle 13. Abbiamo intervistato Davide Demichelis, autore e conduttore di Radici:
Come nasce un programma come Radici?
“Nasce da una mia esperienza personale. Faccio il giornalista da più di 25 anni e realizzo soprattutto documentari. Un po’ per passione, divertimento e interesse professionale ho avuto la fortuna di viaggiare molto, soprattutto all’estero. Ho iniziato con l’Africa e poi sono stato negli altri continenti. E così ho visto l’altra metà del mondo, quella che in Italia arriva poco, perché i media si occupano poco di esteri. Girando documentari su temi sociali, le guerre africane, natura e animali, ho avuto la possibilità di vedere il fenomeno delle migrazioni dalla parte dei Paesi da cui partono i flussi e quindi volevo raccontarlo a partire da lì”.
C’è però anche un vissuto personale che l’ha portata a maturare l’idea del programma?
“Si: vivo a Nichelino, una città della prima cintura di Torino, dove sono nato nel ’65. Ho vissuto nella mia infanzia l’immigrazione degli anni ’60 e ’70. La città in quegli anni è esplosa perché arrivavano dal sud Italia gli immigrati che venivano a lavorare alla Fiat. Allora qui abbiamo vissuto qualcosa di simile a quanto sta accadendo oggi. Forse anche per questo ho sentito il desiderio di raccontare il fenomeno da una prospettiva diversa. Il sottotitolo del programma infatti è “l’altra faccia delle migrazioni”, perché raccontiamo i Paesi di origine, le motivazioni che spingono una persona a lasciare la casa, la famiglia e la terra natale, a cui tutti comunque siamo legati”.
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