La storia di Chiara Lubich in un TV movie

Chiara Lubich, l’amore vince tutto è il titolo della fiction italiana che racconta la vita della giovane maestra elementare trentina che ha dato vita al Movimento dei Focolari ed ha ispirato molteplici iniziative di rinnovamento socio-culturale basate sul Vangelo. Tra di esse, anche NetOne. Intervista al produttore artistico Saverio D’Ercole 

Di Silvano Malini

Il film per la TV è andato in onda sul primo canale del network statale Rai (Radio-Televisione Italiana) il 3 gennaio 2021, in prima serata, ed è stato poi reso disponibile gratuitamente nel portale Rai Play, dove è possibile guardarlo tutt’ora dall’Italia.

L’opera è stata realizzata da Casanova Multimedia in collaborazione con Rai Fiction, per la regia di Giacomo Campiotti e con Cristiana Capotondi come attrice protagonista. 

Pochi mesi prima della messa in onda, la giornalista Stefania Tanesini ha intervistato il produttore artistico del progetto, Saverio D’Ercole.

“Ho conosciuto l’ideale di Chiara quando avevo 11 anni”, ha affermato D’Ercole, che ha spiegato l’origine del film. “Alcuni anni fa, l’allora direttrice di Rai Fiction, Tinny Andreatta, espresse il desiderio di raccontare le storie di grandi donne italiane, anche del passato. Quello è stato il momento in cui con alcuni abbiamo pensato che fosse il momento giusto per proporre la figura di Chiara”. Dopo il sentito ringraziamento ai dirigenti della Rai che hanno reso possibile questo film, al quale hanno lavorato per circa tre anni, D’Ercole ha sottolineato il ruolo del produttore Luca Barbareschi della Casanova – Eliseo Fiction, perché, nonostante si sia trattado di un progetto “con enormi problemi economici, è stato molto determinato a portarlo avanti esplicitando in maniera chiara ‘per i contenuti che il film veicola’”. 

“Condensare una figura complessa come quella di Chiara Lubich in un’ora e mezzo di film non dev’essere stata un’impresa facile”, ha riflettuto Tanesini. “Selezionare il materiale e capire che cosa fare rientrare in 90, 100 minuti di film è stato difficilissimo”, ha confermato il cineasta. “Naturalmente in questo hanno avuto una parte fondamentale gli autori”. Tuttavia, ammette che “il rischio era quello di avere un lungo elenco di avvenimenti, ma non una storia”. Di lì la scelta di “circoscrivere il racconto” a quello che è stato considerato “il cuore della storia”, ovvero gli anni ‘40, raccontati dalla “cornice narrativa” degli interrogatori da parte del Sant’Uffizio, avvenuti negli anni ’50 in Vaticano. 

“Naturalmente, una fiction” – a differenza di un documentario – “implica un margine di inventiva per riuscire a costruire una storia appassionante”, sempre peraltro “nel rispetto della storia vera”. In un’intervista successiva, ha esemplificato illustrando la soluzione narrativa di aver fatto coincidere un personaggio realmente esistito, di cui si sapeva poco, con la figlia di un gerarca fascista. Personaggio attorno al quale si sono in qualche modo catalizzate le accuse e le critiche al modus operandi della protagonista.   

“Quale Chiara emerge in questo film?”. “La Chiara di Giacomo Campiotti, autore, co-autore e regista, e di Cristiana Capotondi. Questo è molto importante, perché entrambi non conoscevano il Movimento prima, o perlomeno lo conoscevano in una maniera generica, non approfondita. Quindi è stato il loro occhio esterno ad avvicinarsi a Chiara”. Ciascuno di loro l’ha fatto “con la professionalità e con il talento” che gli sono propri. “L’incontro tra la dimensione artistica di Giacomo e quello di Cristiana, come interprete, dal mio punto di vista ha dato vita ad una Chiara straordinaria. Ritengo sia giusto e corretto mettere da parte l’immagine che ciascuno di noi ha di Chiara, anche per chi l’ha conosciuta come me, e proiettarsi in questa dimensione, in questo incontro artistico fatto con onestà, con sincerità e con profondità”. 

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